di Giampiero Finocchiaro
di Giampiero Finocchiaro
A brevissima scadenza dalla segnalazione di una condizione di sofferenza del tetto dell’auditorium dell’istituto comprensivo “Laura Lanza” che rapidamente avrebbe potuto trasformarsi in un danno permanente con enorme aggravio dei costi pubblici di ristrutturazione, l’Amministrazione comunale ha inviato una squadra di operai che ha provveduto a impermeabilizzare il tetto dal quale sole e vento avevano estirpato la precedente copertura. Per onore del vero va precisato che la preesistente impermeabilizzazione era stata realizzata con guaina che i rilievi successivi hanno dimostrato essere stata posizionata in maniera inadeguata. Difficile dirsi, a distanza di anni dall’intervento originario, se si sia trattato di triste incompetenza degli addetti al lavoro materiale o di assenza di controllo dettato da altrettanto triste disinteresse per una corretta esecuzione dei lavori quando si tratti di committente e destinatario pubblico. La cronaca di tutti i giorni ci ha abituati a constatare come siano spesso mal fatti e soprattutto non controllati i lavori che derivano da pubbliche commesse e destinati ad altrettanto uso pubblico, come se l’appalto fosse soltanto un alibi per ricavarne un guadagno. Comportamento che invece non trova riscontro se l’appalto afferisce a un committente o a un destinatario privato che ha invece interesse diretto a vedere realizzato alla perfezione ogni lavoro che lo riguardi. Ho perciò personalmente constatato il posizionamento della nuova guaina che è visibilmente messa in opera con criteri più razionali ed efficienti rispetto ai precedenti e manualità che subito si intuisce di lunga ed efficace esperienza. Si può dunque essere ragionevolmente fiduciosi che tale intervento avrà vita lunga e produrrà beneficio costante. La struttura, infatti, è un vanto per l’istituto che la utilizza per manifestazioni collettive durante tutto il corso dell’anno ed è anche ben disposta a metterla a disposizione del territorio per finalità compatibili con la sua destinazione.
di Giampiero Finocchiaro
Prosegue l’azione di coinvolgimento delle scuole di Carini nel mondo delle relazioni che l’attività dell’Unione europea rende possibili. Chi scrive è stato recentemente in Spagna insieme alla collega Claudia Corselli per un seminario di contatto che si è tenuto a Benalmadena dal 14 al 18 di ottobre ed era finalizzato alla istituzione di contatti internazionali per la stesura di progetti. Come si ricorderà, già da due anni abbiamo avviato la rete scolastica e interistituzionale SEICK (Sicilian Euronetwork to Increase Cooperation and Knowledge) che ha sede ufficiale presso l’I.C. “Guttuso” di Villagrazia e sede di supporto operativo presso la “Laura Lanza” di Carini. Ad essa hanno aderito circa venticinque soggetti per la gran parte scuole pubbliche ma vi sono anche agenzie e associazioni private che si muovono nell’ambito dell’expertise di progettazione europea. La rete SEICK è specializzata nella promozione di visite di studio e partenariati Comenius che, come recita la definizione ministeriale, è un’azione che: “riguarda tutto l’arco dell’istruzione scolastica, dalla scuola dell’infanzia fino al termine degli studi secondari superiori”. Va ancora precisato che tra gli obiettivi operativi del programma di intervento vi sono:
- Sviluppare la conoscenza e la comprensione della diversità culturale e linguistica europea e del suo valore;
- Aiutare i giovani ad acquisire le competenze di base necessarie per la vita e le competenze necessarie ai fini dello sviluppo personale, dell’occupazione e della cittadinanza europea attiva.
Si tratta, come si vede, di modalità di intervento che possono rappresentare un’occasione di “apertura mentale” dei nostri giovani ai quali viene perciò offerta la possibilità di relazionarsi con pari età di paesi diversi in un’ottica di scambio e crescita reciproca. Che le scuole di Carini siano tutte e cinque nella rete SEICK, è certamente segno di una volontà e capacità propositiva che può giustamente rappresentare un vanto per la comunità locale.
di Giampiero Finocchiaro
Nonostante le abbondanti piogge dell’autunno, i lavori di ristrutturazione del plesso di scuola dell’infanzia “Ninni Cassarà” vanno avanti con regolarità. Si tratta di un intervento finalizzato a rendere più accogliente l’edificio che soffriva di problemi ambientali dovuti alla vecchiezza e inadeguatezza degli infissi che vengono ora tutti sostituiti. La loro rimozione ha portato alla luce, però, l’approssimazione dei lavori originari che in alcuni casi hanno lasciato a vivo le armature di ferro del cemento consentendo così la deteriorazione delle stesse e causato una inadeguata efficienza dell’immobile stesso. Le innumerevoli infiltrazioni d’acqua che hanno talvolta destato preoccupazioni – ma mai di evidenza strutturale – saranno debellate dal rifacimento dell’impermeabilizzazione della copertura del tetto su cui verrà apposto un nuovo materiale di più recente produzione rispetto alla ormai vecchia guaina di catrame. Anche qui, tuttavia, l’inizio della ristrutturazione ha messo in evidenza la totale inadeguatezza di un precedente intervento di posizionamento delle tettoie su entrambi i lati dell’edificio. La struttura in ferro, infatti, è stata appoggiata direttamente alle pareti esterne senza che al di sopra fossero posti i giunti spioventi che avrebbero impedito all’acqua di infiltrarsi. L’umido patito in questi anni dai muri, dagli alunni e dal personale scolastico è stato causato dunque ancora una volta da lavori fatti male. Ci auguriamo che i lavori in corso adesso siano posti a stretto controllo. Valuti l’Amministrazione se tutelarsi verificando se e quanto, eventualmente, le imprese responsabili dei precedenti lavori abbiano rispettato il compito loro affidato con pubblico denaro e se e quanto dei danni attuali sia stato provocato magari da colpevole inettitudine.
di Giampiero Finocchiaro
Recentemente gli alunni della scuola “Laura Lanza” hanno preso parte ad una iniziativa il cui fine era avviare un’operazione di pulizia. E periodicamente anche tutte le altre scolaresche partecipano ad attività simili, sempre pensando di “iniziare” un percorso virtuoso che inverta la rotta dell’abbandono in cui abitiamo con la nostra immondizia e i ratti che, come dice il premio nobel Gunter Grass, ci sopravviveranno come unico frutto imperituro della nostra presenza nel mondo.
Cosa nasce da così tanti e, solo a volte, volenterosi, inizi? Nascere forse nulla se si osserva lo stato di degrado al quale ci siamo abituati, al punto che non molto tempo fa una mia ex alunna mi ha mandato su facebook una sua foto, scattata al mare col suo fidanzato. Erano nella classica posa dei giovani che si vogliono bene e che oltre il loro sentimento non hanno occhi per nient’altro. Davvero nient’altro, così che nel farle i complimenti per la sana e onesta relazione sentimentale non ho potuto fare a meno di chiederle se si era accorta che l’arenile che faceva da sfondo alla loro foto era un letamaio di cenci, cartacce, bottiglie, lattine e chissà cos’altro se la definizione avesse consentito una più attenta esplorazione. Mi ha risposto che non se ne era avveduta prima ma che adesso che gliene facevo prendere coscienza era davvero irritante avvertire che viviamo in una discarica a cielo aperto.
Allora a che pro? Per quale motivo le scolaresche continuano a recitare questa parte dei bravi scout che vogliono pulire il mondo? Ogni volta cominciando da un piccolo tratto di costa o di campagna già lungamente e ripetutamente impoverito e inquinato? Semplicemente perché grazie alla sensibilità residua di alcuni operatori della scuola e delle associazioni sparse sul territorio nazionale, ci sono ancora persone che vogliono perpetuare la speranza di un cambiamento, la speranza di un recupero di quella bellezza che ci è stata affidata dalla sorte e che abbiamo oltraggiato oltre ogni misura, oltre ogni ragionevolezza, incapaci di custodirne il segreto, vili al punto di violarne il fascino con ostinazione e avidità. Abbiamo occupato il territorio con o senza permessi, usando ingombranti e solitamente orripilanti parallelepipedi di cemento armato, volgari come chi li ha concepiti e chi li ha adoperati, inutili, dannosi, invadenti e soprattutto lesivi della libertà di tutti di godere di spazi e benessere. Eppure bastava così poco a comprendere che avevamo in mano una risorsa sufficiente per renderci tutti ricchi ma prima di capirlo abbiamo distrutto il patrimonio che avevamo e nessuno, adesso, è più in grado di dire se siamo ancora in tempo per resuscitare la bellezza che abbiamo perduto…
di Giampiero Finocchiaro
Giustamente impazzano le polemiche sull’immondizia che, gioverà ricordarlo, è termine che viene dalla parola “mondo”, quasi a ricordarci che la scelta che dovremmo fare è quella tra il mondo (per ciò sinonimo di pulito e ordinato) e l’immondo (che, al contrario, è ricolmo di immondizia, sporcizia e disordine).
La formula dell’ATO non ha funzionATO, come appare evidente dalle infinite lamentele, dai costanti interventi di cittadini e giornalisti e persino dalla sfiducia colta nell’opinione dei soggetti istituzionali costretti a relazionarsi al consorzio. Ci aggiungiamo anche noi al coro per dire, per esempio, che dai primi di settembre giacciono presso la scuola “Laura Lanza” due cumuli di rifiuti speciali che, nonostante i ripetuti solleciti, non sono stati ancora portati via. Si tratta, in particolare, di rami secchi che il personale della scuola, procedendo in autonomia senza richiedere interventi al servizio giardini del Comune, ha tagliato perché ricadenti sul marciapiedi esterno. L’altro cumulo è dato dalla guaina impermeabile che gli agenti atmosferici hanno sollevato e rimosso dal tetto dell’auditorium che, dallo scorso anno, soffre di infiltrazioni d’acqua a causa delle quali è ormai urgente intervenire, prima che la struttura ne riceva danno serio e irreparabile. Ci chiediamo: se la sporcizia invade ogni angolo, tanto da averci abituato ad essa come a una costante del paesaggio, l’ATO che fa? Dove sono i suoi operatori? Quanto lavorano? E quanto guadagnano i suoi direttori? Possibile che non trovino il tempo di aiutare proprio la scuola che dovrebbe instillare nei cittadini del domani il senso della fiducia nello Stato? Vorremmo sapere se si tratta di quell’atavica e diffusa negligenza che ci fa considerare fannulloni dagli stranieri e dai ministri o se si tratta di quell’indolenza ignorante che ci ha reso poveri di tutto. Che l’ATO, insomma, batta un colpo e dica se a provvedere è intenzionATO…
di Giampiero Finocchiaro
Delle nostre arcinote radici greche deve essere rimasto molto poco, forse nulla. Oggi, infatti, difficilmente Omero – se fosse vivo e poetasse ancora – potrebbe stilare un distico come il seguente:
Quel canto più lodano gli uomini
Che agli uditori suona intorno più nuovo.
Tale è la paura che circola tra noi di ogni più piccola novità e che imprigiona il nostro paese (Carini come l’Italia intera) in una stasi senza futuro, senza prospettiva, senza gioia. E fa il paio, la paura di cui si dice, con il noto immobilismo tipico della cultura burocratica che suggerisce di non fare per sé e non far fare agli altri perché in tale richiamo di falsa saggezza vi si ravvisa lo strumento dell’obiettivo minimo che è quello di non sbagliare. Chi non fa nulla non sbaglia nulla, in sostanza. Ma se si sospendono l’ipocrisia e la viltà che ci caratterizzano si scopre che l’intento del non fare, mira a un obiettivo miserabile, sotterraneo e individualistico: non essere cacciati da un posto, un ruolo, un incarico. E d’altra parte è noto che l’innovare sia impegno di chi rinuncia alla diserzione e all’infedeltà e perciò si espone, si mette in discussione, rischia in prima persona e persegue obiettivi di comune interesse senza nascondere nulla, senza mascherarsi dietro nulla. Sebbene questo non necessariamente significhi miopia delle altre ragioni o cecità assoluta del proprio obiettivo, essendo chiaro nella mente di chi porta novità che le novità proprio per la loro caratteristica, vanno preparate, sondate, messe in atto e testate per un tempo significativo a produrre elementi di giudizio. Non impressioni dettate dall’umore mattutino che ha più relazioni col menu della sera precedente che con la competenza e l’acume analitico. Metteva in guardia da tale pericolo persino Cicerone che in una nota orazione sostenne:
Nulla che sia del tutto nuovo è perfetto
E ciò per ribadire il fatto che, come si è detto, le innovazioni si preparano e si mettono alla prova, non si smontano per capriccio o insulsa e personale contrarietà. Animo dunque, in qualunque direzione vadano le novità ben vengano, specie se sono condivise da chi le deve veramente testare e vivere sulla propria pelle, metterle in campo nella propria vita. Gli altri, piuttosto, diano una mano. Dal nuovo nascerà il nuovo mondo. Dal vecchio non può che venire la fine.
di Giampiero Finocchiaro
A Cesare quel che è di Cesare. E dunque si deve anche dare notizia di quel che c’è di buono anche là dove con frequenza ci si lamenta un po’ di tutto.
È trascorsa un’altra estate e l’anno scolastico è appena ricominciato. Una triste abitudine ha visto le scuole, almeno quelle in zone isolate e periferiche, sempre in difficoltà all’inizio del nuovo anno scolastico per via dei danneggiamenti che si sono ritrovate a fronteggiare coi soliti problemi di mancanza di fondi e le solite richieste di interventi manutentivi al Comune che arranca e non può coprire tutto. Il vandalismo è una piaga della cultura urbana contemporanea, una specie di marchio distintivo che caratterizza non soltanto le nostre città ma tutti i grandi centri, le conurbazioni che partendo dall’espansione di una grande città raggiungono i paesi limitrofi assorbendoli nel vizio dell’incuria, dell’abbandono, della perdita di identità e di ogni altro malessere che confeziona la pessima qualità della vita che conduciamo.
Eppure in questo quadro asfissiante e maledetto compaiono segnali confortanti. E uno va rilevato: l’estate è trascorsa senza che le scuole abbiano subito danni o furti di rilievo, solo piccole e fastidiose abitudini come il passare da una strada e lanciare un sasso a rompere un vetro. Hanno aiutato vigili urbani e carabinieri che hanno intensificato il controllo del territorio circostante le scuole durante la pausa estiva e forse ha aiutato l’azione educativa che le scuole conducono e che magari comincia finalmente a fare breccia nei cuori induriti dalla sordità, l’insensibilità, l’ignoranza. In questa terra dove è tradizione antica dilapidare il bene collettivo forse comincia a crescere una nuova coscienza, il senso di appartenenza a una comunità che va difesa anche nei suoi servizi che sono di tutti e sanno dare risposte concrete ogni volta che ce n’è bisogno. Voglio credere che sia così perché il senso del lavoro di tanti insegnanti e operatori della scuola non vada disperso tra le chiacchiere, le lamentele, le ipocrisie. E intanto dico “Bravi!” a quanti hanno cambiato comportamenti socialmente negativi e intrapreso la strada di una consapevole crescita. Da questa soprattutto, infatti, potranno aspettarsi un futuro migliore.
di Giampiero Finocchiaro
Il più grande dei due plessi di scuola materna dell’I.C. “Laura Lanza” è finalmente in via di ristrutturazione. Una volta terminati i lavori, unitamente al plesso consegnato nel 2009, costituirà un moderno centro di educazione dell’infanzia. Ci adopereremo, eventualmente anche con l’aiuto dei privati e di genitori volenterosi oltre a quello del Comune, per attrezzare adeguatamente la nuova struttura.
La ditta appaltatrice proviene dalla provincia di Messina. Io stesso, in qualità di dirigente scolastico e quindi di diretto interessato, mi sono adoperato congiuntamente all’ingegnere Ruffino capo della IV Ripartizione per accelerare i tempi di inizio dei lavori. Approfittando della scarsissima affluenza di bambini già nei primi giorni di giugno ho di fatto chiuso il plesso in data 12/VI, lo stesso venerdì di ufficiale conclusione della scuola intera. Eventuali servizi di scuola materna sarebbero stati assicurati nel plesso centrale come da avviso pubblico affisso ai cancelli del plesso “Cassarà”.
Tra lunedì 15 e martedì 16 giugno, con l’aiuto dei miei collaboratori scolastici e persino dei loro privati mezzi di trasporto cose, ho liberato l’intero plesso per agevolare i lavori della ditta appaltatrice. E il successivo giovedì 18 ho organizzato un incontro con il titolare della ditta, geometra Licciardello, e l’ing. Ruffino per un ultimo sopralluogo sul posto, preliminare necessario per la firma del contratto con l’Amministrazione comunale e per l’apertura del cantiere. Era mia dichiarata speranza consentire che l’inizio dei lavori potesse usufruire delle due settimane di anticipo con cui era stato liberato l’edificio. Questo avrebbe consentito di prevedere per ottobre la data di riconsegna dei locali alla luce di un impegno contrattuale che stabilisce in mesi quattro la durata del cantiere. Purtroppo i lavori non sono ancora cominciati ed è perciò prevedibile, piuttosto, che col nuovo anno scolastico ci saranno disagi per le sezioni operanti al plesso “Cassarà”.
di Giampiero Finocchiaro
Prenderò spunto da un episodio accaduto a Palermo ma che, per la sua normale eccezionalità, risulta estendibile a tutto il comprensorio urbano del capoluogo e agli stili di vita spesso incivile che impone.
Sul giornale di poche settimane fa leggevo di una sentenza. Il fatto: la sera del 22 ottobre Antonella voleva uscire ma trovava l’auto bloccata da un’altra in seconda fila. Suona, strombazza ma niente. Aspetta ma niente. Gira per i vicini pub ma niente. Chiama i vigili urbani e dopo quasi tre ore arriva il carro attrezzi. All’istante si materializza Lucia, proprietaria dell’auto in seconda fila. Qualche diverbio e la solita frase: “Miii, come sta facendo per soli cinque minuti”. Si sa il tempo è relativo e le tre ore di una vittima non sono che cinque minuti di relax o divertimento per il torturatore. Scatta la denuncia, essendo Antonella animata da giusto risentimento e rincuorata dal senso di giustizia. Lucia, invece, innesca il suo avvocato essendo armata di fiducia nella legge.
Il giorno del giudizio, non ancora universale (ma chissà per quanto ancora) il Gip, codice alla mano, sentenzia: non v’è dolo, accogliendo la tesi dell’avvocato che magari non ha letto Manzoni ma di certo ha azzeccato la solita maglia larga che il nostro sistema giudiziario sempre “garantisce” a chi si industria per non pagare le proprie colpe. Nessuno si è chiesto come mai al lampeggiare dell’autogru Lucia, che si era scusata di perdonabile disattenzione, fosse invece risultata attenta più di una sentinella. Che qualcuno sia stato privato del diritto di decidere dove e come e quando muoversi non importava al Gip perché non importa al sistema giudiziario che cataloga la nervosa serata di Antonella come risultato non di un comportamento intenzionale ma frutto di uno “astrattamente idoneo a privare il soggetto passivo della libertà di determinazione”.
Inutile dire come l’abbia presa il soggetto passivo… e inutile dire quanto queste sentenze, a mio dire “astrattamente idonee a garantire il diritto alla libertà di chi crede nella giustizia” finiscano col fare un danno grande quanto lo “spregio del rispetto delle altrui esigenze”, argomentazione citata nella sentenza per precisare che Lucia non pagherà nulla, che è stata un po’ incivile ma siccome tutti lo fanno, perché non anche Lucia? E se Antonella dovesse casualmente posteggiare parallelamente all’auto di Lucia o del suo avvocato o del Gip, non avremo che una “astratta metafora dell’inscindibile legame che unisce legge e giustizia come binari…” che tuttavia – è noto – per progetto, sicurezza e garanzia non devono mai incontrarsi.
di Giampiero Finocchiaro
Di seguito alla vicenda sanitaria occorsa quest’anno per alcuni bambini della scuola dell’infanzia del nostro Istituto, una coda di autentiche “camurrie” legali ancora si protraeva fino ai primi di luglio. Una lettera anonima proveniente certamente dalla nostra utenza genitoriale, in una lingua approssimativamente riconducibile all’italiano, ha inoltrato presso la Procura di Palermo una denuncia su sempre presunte e presumibili mancanze da parte delle istituzioni di fronte a un problema di natura collettiva. La scuola anzitutto vi veniva presentata non come avamposto ultimo e solitario di desuete forme del vivere civile e del rispetto delle regole ma come associazione a delinquere popolata di malfattori e dementi. Si chiedeva perciò un intervento punitivo esemplare accompagnando però la stessa - nello stile tipico delle lettere anonime di nostrana provenienza - di una supplica di memoria feudale con cui al padrone, oggi allo Stato, si chiedevano aiuti economici per far fronte ad alcune esigenze private e personali. Siamo al solito inganno dell’essere e dell’apparire: mostrarsi preoccupati della pubblica incolumità per perseguire un sotterraneo interesse privato.
Convocato dal giudice competente per distretto, ho deposto sulla questione contestando con prove ciò che altri dichiaravano nella viltà di un anonimato presuntuoso autoreferenziale e cattivo. Ora non è più questione di saggezza popolare che ancora dura ricordando come il male fine a se stesso ricada per sette generazioni su chi lo manda, ma è questione di civiltà e di modernità. E attraverso queste, è questione di scelta su quali insegnamenti dare ai nostri figli. Sorvolando sui problemi che i figli degli anonimi estensori della denuncia presenteranno in futuro a scuola almeno in lingua italiana, avendo alle spalle un tale esempio, certamente va gridato come il ricorso alla denuncia anonima sottragga le persone a quel civile confronto che è obiettivo dell’educazione scolastica. In sostanza, la scuola insegna ciò che in alcune famiglie viene tradito con l’esempio genitoriale. Si possono avere idee e valutazioni diverse sull’operato di qualcuno ma è dovere di tutti concorrere alla crescita civile e morale dello Stato. Lo impone la Costituzione che non è, è bene ricordarlo, una carta dei diritti individuali, non è un’arma per diventare avidi e arroganti miopi, è piuttosto un documento che elenca doveri individuali e diritti collettivi. Anzitutto.
La questione della vicenda sanitaria è stata chiusa. In termini legali è una vittoria piena, schiacciante, pesantissima, totale, ottenuta con la semplicità di chi, come tanti altri, ha imparato che il lavoro è sacrificio e impegno personale. Dall’altro lato, l’anonimo e sgrammaticato denunciante impersona la sconfitta più nera, miserabile, umiliante e vergognosa che si possa immaginare. Col che si spiega il titolo e si comprende quale strada convenga seguire per essere d’esempio alle giovani generazioni che hanno diritto a un futuro più limpido.
di Giampiero Finocchiaro
L’Istituto comprensivo “Laura Lanza” sorge in un’area della città di Carini nota come zona PEP. Spesso sento dire che rappresenta lo ZEN di Carini. Lo si dice in riferimento a un quartiere degradato di Palermo, capoluogo così vicino da avere inglobato nella propria periferia la Carini di oggi. Si mettano da parte orgogli e dissertazioni storiche, la realtà di oggi è questa. Il problema urgente diviene dunque: come evitare che Carini tout court, o almeno la sua parte nuova e in espansione, prenda le caratteristiche di degrado, violenza, vuoto civile, assenza di legalità, etc. che tanto male hanno rappresentato e rappresentano lo ZEN e, con la logica del pars pro toto, Palermo e i siciliani? E come evitare che si diffonda l’alibi secondo cui i recenti innesti in quest’area – giusto provenienti dal famigerato quartiere ovest di Palermo a cui non ha giovato il maquillage del nome, divenuto San Filippo Neri – sarebbero i soli o i principali colpevoli di tutto ciò che di giorno, pomeriggio e notte vi accade?
Il primo errore è di metodo: credere che si possa attendere qualcosa (una data, una procedura burocratica, la costruzione di un edificio, etc.) prima di ordinare il quartiere e la vita che vi si conduce tra mille difficoltà. In questi vuoti di ufficialità, è noto, hanno tempo di svilupparsi abitudini dannose che è poi difficilissimo sradicare senza prima cedere a quella colpevole rassegnazione al brutto, allo sporco e al prepotente che così tanto caratterizza e condiziona la vita meridionale. Il secondo errore è credere che la responsabilità di tutto ciò ricada su estranei e lontani amministratori da crocifiggere quando conviene e arruffianare quando conviene in opposto senso. Ci vantiamo spesso di vivere in luoghi tra i più belli del mondo ma sempre dimenticando che sono contemporaneamente quelli in cui la qualità della vita è tra le peggiori di quel mondo che, guardandoci intorno, chissà perché definiamo civile. Lasciamo colpevolmente che aree non definite siano pascolo per cavalli la cui ragione di esistere, a queste latitudini, è presumibilmente legata più ai miraggi delle corse clandestine che al bucolico amore per gli animali. In tal modo la semplice presenza di un quadrupede non offre spettacolo della natura incontaminata che si offre al nuovo residente ma piuttosto simbolo di illegalità diffusa alla quale l’intera comunità, fingendo di non sapere e di non vedere, dà un diretto contributo. Con colpevole, sia chiaro, indolenza.
Meglio sarebbe allora, se cavalli devono stare, vedere in questo quartiere un maneggio ben organizzato, pulito dalle immondizie che vi si accumulano spandendo fetore e bruttezza, ben delimitato da ordinate file di siepi verdi e fiorite, aperto magari anche alle scolaresche. Ma se così non può essere, allora vuol dire che sono aree che “in attesa di definizione” dovrebbero essere mantenute decorosamente pulite, recintate in modo da non essere violate né da cavalli né da agonisti dell’immondizia così da non conferire all’intero quartiere l’aria di sporco abbandono che invece soffre. Ciò ancor più considerando l’azione che la scuola conduce per far comprendere il valore del pulito, dell’ordinato, del bello in questo contesto “assurdo” perché tradisce di continuo quanto si cerca di insegnare. Potranno mai cambiare i comportamenti in queste condizioni? Potrà Carini tornare ad avere un futuro di vivibilità in queste condizioni di colpevole indolenza?
Quello che qui occorre, tuttavia, non è innescare la solita inutile lamentela nei confronti di una amministrazione che i suoi passi pur li compie. Ciò che manca all’azione dell’amministrazione è la continuità perché senza andare lontano, l’area del quartiere di cui si dice fu pulita i primi di ottobre dello scorso anno. Se oggi vi circolano liberi equini o vi si accumulano montagne di ferro da riciclare – pericolosissimo per i ragazzi che vi vanno a giocare – è perché all’azione dell’amministrazione è poi mancata quella continuità che sarebbe venuta dalla solidarietà e dalla collaborazione della cittadinanza, sempre pronta a trovare un colpevole e troppo spesso in ritardo a offrire la propria partecipazione diretta. Invece di lasciare che le cose vadano senza direzione, permettendo al peggio di dare una direzione invece precisa che è quella del degrado esterno e interiore, dei luoghi come degli abitanti, meglio sarebbe sforzarsi con intento comune della collettività carinese imprimere a quest’area una identità precisa, mettere un marchio evidente e mantenuto che qui si progetta un volto bello e pulito della città che si espande, che accolga i nuovi arrivati dando loro la forza di credere ad un cambiamento dei comportamenti come del futuro che li attende, auspicio di un miglioramento che potrebbero trovare qui, integrandosi e non sostandovi come in un dormitorio periferico della grande città che ci divora giorno dopo giorno.
L’invito, dunque, è alla vita consapevole, condotta con spirito di comunità, non quello antico e irrecuperabile dei secoli gloriosi del passato ma quello nuovo e possibile che nella odierna realtà si può insieme esercitare per respirare un’aria civile migliore, presupposto di ogni sviluppo sociale, economico e culturale.
Corre l’obbligo di intervenire in materia di sport e di organizzazioni sportive e mi tocca farlo tanto come dirigente scolastico quanto come sportivo grazie a dio ancora in esercizio. Sollecita la lettera pubblicata su questo stesso giornale nello scorso numero ad opera dei componenti della locale consulta dello sport. Non entro nel merito delle questioni che riguardano l’adeguamento del regolamento ma è doveroso, per correttezza di informazione e stanchezza di generiche lamentele, riferire alcune precisazioni.
Sono d’accordo con l’idea che le associazioni sportive siano una risorsa del territorio ma si deve valutare con cautela l’affermazione secondo cui i “giovani non fanno più una corretta attività fisica neanche nelle scuole a causa di insegnanti totalmente disinteressati, che si trincerano dietro le precarie condizioni in cui versano le palestre scolastiche nelle quali i Dirigenti Scolastici malvolentieri ospitano qualche Associazione Sportiva e in alcuni casi nessuna”.
Andiamo per ordine: i giovani fanno poco sport, è vero, e le conseguenze sono molteplici, prime fra tutte l’obesità diffusa e il disordine alimentare. Ad entrambe proprio la scuola, però, oppone una nutrita azione di rilevamento, monitoraggio e informazione e formazione. È sotto gli occhi di tutti dai programmi, dai POF e dalle iniziative promosse in tal senso, per cui non val la pena aggiungere altro. Che la causa siano gli “insegnanti totalmente disinteressati” è una preoccupante affermazione che rimanda a superficialità di giudizio e pressapochismo che sono tipici di chi preferisce la forza alla ragione, di chi forse intende lo sport secondo la visione stigmatizzata da Moravia: lo sport rende gli uomini cattivi, facendoli parteggiare per il più forte e odiare il più debole. E non ci pare che corrispondano a questo profilo i bravi operatori delle società sportive di Carini con cui collaboriamo. Rivolgiamo perciò ai firmatari un invito alla prudenza e al rispetto per gli insegnanti che invece a scuola fanno argine alla cultura della pènnica e dello star seduti…
Va aggiunto che neanche l’affermazione secondo cui “i Dirigenti Scolastici malvolentieri ospitano” nelle proprie palestre le associazioni sportive corrisponde a verità. Alla “Laura Lanza”, per esempio, sono presenti: una società di pallavolo, una di pallacanestro, una di judo, una di pesistica. Quest’ultima poi è proprio la società di una delle firmatarie della lettera che commentiamo e che aveva persino ricevuto ospitalità per l’organizzazione di una manifestazione estiva di specialità, poi realizzata altrove perché va anche compreso, col semplice buon senso, che esiste un problema di compatibilità tra attività sportive e scolastiche (e queste ultime devono necessariamente restare prioritarie). Si sappia ancora, che in un’ottica di trasparenza e collaborazione ho persino voluto che le associazioni sportive ospitate nella mia scuola, costituissero un comitato che si occupasse della distribuzione interna degli spazi orari non utilizzati dagli studenti per attività istituzionali. In tal modo nessuno può lamentare discrezionalità o altre fantasie derivanti dall’ingenerosa abitudine a dir male degli altri e a coprire di silenzio il bene che gli altri operano.
Insomma, lo sport è importante soprattutto per il suo valore intrinseco di “disciplina” che educa tanto l’individuo quanto lo stare assieme, ma proprio per tale ragione deve indurre sempre i suoi operatori a esercitare la moderazione e a perseguire la verità. Questo il suo contenuto “olimpico” e se vogliamo insegnarlo ai nostri ragazzi dobbiamo anche saper dare l’esempio. Magari aiuterà ricordare cosa pensava dello sport un autore come André Maurois che ai ragazzi dedicò parte importante della propria produzione letteraria: Il vero spirito sportivo partecipa sempre dello spirito religioso.
(da "Carini Oggi" - settembre 2009)
Semel in anno licet insanire… traducendo l’insanire non col pertinente impazzire ma col verbo “pulire” senza nulla togliere al carattere di straordinarietà che l’impazzire si tiene per definizione. E così ritualmente è arrivato il singolo giorno dedicato alle pulizie. Pulire, però, significa rimuovere lo sporco, come ci ricordano giornalmente le pubblicità televisive dei mille prodotti per la casa.
Eppure accade che un così ovvio e banale impegno venga esercitato senza scopo, ovvero senza alcuna intenzione di ottenere un risultato decoroso. Si è recentemente visto sulla strada consortile in seguito ad un intervento di alcuni operatori (di che?). Passo da quella strada ogni giorno ed ho perciò notato uomini in tuta fosforescente che armati di decespugliatore mietevano le sterpaglie cresciute ai bordi della strada per l’incuria con cui, per cultura, coviamo nell’abbandono il nostro paesaggio urbano. E poi? Ancora l’abbandono, di nuovo l’indifferenza.
Giacevano nel medesimo posto, infatti, le stesse sterpaglie che prima nel loro groviglio di arbusti e polloni nascondevano l’immondizia al dettaglio che scivola dalle nostre mani, vola dai finestrini delle nostre auto in un continuo, inarrestabile, perverso e mortificante sperpero della bellezza e del decoro. Un panorama desolante e non per l’incomprensibile lavoro a metà ma perché irriconoscibile, abituati come siamo ad ammirare savane di residui domestici e plastiche rampicanti che il vento ha crocifisso in modo perenne su cancellate e recinzioni.
Come sempre, tornerà il vento, ospite frequente da queste parti, a rianimare le spoglie di ciò che abbiamo più caro, il lerciume di cui con costanza e impegno giornalieri ci circondiamo. Voleranno carte, rotoleranno lattine, bottiglie, cartoni, si agiteranno in un mare di coriandoli con filtro e in questa allegra baraonda ci sentiremo di nuovo a casa! Allora il paesaggio non sarà più desolante, sarà di nuovo riconoscibile e per noi confortevole nell’abbraccio dell’amica fedele: l’immondizia. Casa dolce casa…
(da "Carini Oggi" - luglio 2009)
In data 11 giugno u.s., presso gli uffici della IV Ripartizione “Lavori pubblici” del Comune di Carini si è tenuta una riunione per la costituzione di un parco regionale dei progetti volti alla riqualificazione di aree urbane degradate. Si trattava di un’occasione importante di consultazione dei partner sociali interessati anche solo per un contributo di suggerimenti alla prefigurazione degli sviluppi delle aree coinvolte. Il Comune di Carini si sta attrezzando per progettare due interventi di riqualificazione, uno in zona centro ed un altro nel quartiere PEP.
Encomiabile novità di questo incontro è la convocazione dei dirigenti scolastici, io stesso ne ho promosso il coinvolgimento fin dall’inizio del mio incarico di preside ed avere trovato disponibilità da parte del Sindaco e dell’amministrazione non può che essere motivo di soddisfazione. Certo siamo in una fase preliminare ma questa collaborazione è già un concreto passo avanti verso forme di concertazione che sappiano accogliere le istanze provenienti dalle realtà concrete. Ho infatti avuto modo di presentare idee e suggerimenti che sostanzialmente amplificano il progetto scolastico volto a sollecitare forme di pace e cooperazione sociale con reciproco vantaggio di tutti i residenti nella zona. A sostegno delle mie tesi, i risultati già ottenuti con la scuola in termini di partecipazione sociale e miglioramento delle relazioni come dei luoghi. L’attenzione degli interlocutori è stata alta e si è concretizzata nella richiesta di una relazione tecnica che riassumesse gli spunti da me forniti (e che ho prontamente inviato a chi di dovere). Erano presenti per la parte istituzionale l’ingegnere Ruffino, capo della IV Ripartizione (alla cui personale sensibilità verso i problemi della scuola devo già abbastanza), il funzionario Di Stefano, l’architetto Mannino, il signor Lo Piccolo della Pro loco, il signor Carbonaro di Legambiente e per le scuole, oltre al sottoscritto, il professor Amato della scuola Calderone. Per la parte di progettazione erano infine presenti il dottor Rotelli, consulente esterno dell’Amministrazione e l’ingegnere Faraone suo collaboratore.
Se tutto andrà per il meglio, l’area PEP potrà diventare un progetto pilota per la sostenibilità di forme di riqualificazione che sappiano tenere conto del reale tessuto sociale esistente guidandole verso modalità di convivenza improntate all’assunzione: del senso di responsabilità civile, del sentimento di appartenenza al proprio quartiere, dell’innalzamento della qualità della vita. Rimandando a un momento successivo la presentazione nel dettaglio del progetto ancora in via di definizione, a titolo di esempio citerò la richiesta per la realizzazione di strutture socio-ricreative comuni, la previsione di spazi verdi, la richiesta per la costruzione di nuovi impianti sportivi, tutte idee finalizzate ad organizzare in modo positivo il tempo libero dei tanti ragazzi che abitano nel quartiere e che a oggi, per la mancanza di spazi dedicati, devono inventarsi avventure non conciliabili col rispetto della cosa pubblica. Confido che il seme di una nuova Carini sia stato già scelto.
(da "Carini Oggi" - luglio 2009)
Qualche giorno fa andavo via da scuola. Risalivo per la via Prano quando ho notato un paio di ragazzine trasportare un sacchetto ciascuna. Era immondizia. Si appressavano al contenitore e già roteavano il loro pacchetto, quindi il lancio ben al di là del cassonetto, oltre la recinzione che appartenendo a chissà chi non viene sorvegliata, custodita e tantomeno il terreno al di là viene ripulito se non occasionalmente dall’ATO. Un lavoro che ogni volta non dura che lo spazio di un giorno, forse meno. E mi chiedo perché. Cosa ci induce a offendere il paesaggio in cui noi stessi viviamo, quale delirio di morte ci spinge a circondarci di bruttezza e sporcizia? Eppure un tempo Carini vantava un abitato decoroso che, unitamente al pregio architettonico delle sue testimonianze storiche e artistiche, faceva di questo paese una cittadina gradevole. All’inizio sarà stata certamente la sua bellezza ad attrarre chi sceglieva di vivere a ridosso della grande città ma dentro la confortevole cornice di un paesino in cui la vita aveva un sapore più umano.
Il fatto è che interessi vergognosi hanno per troppo tempo consentito a chiunque di danneggiare il paesaggio con caseggiati e tuguri che nessun rispetto tenevano della parte pubblica. Ogni edificio, seppure curatissimo al suo interno, mostra un volto esterno che da noi resta spesso grezzo per una forma di risparmio che nasce più spesso da miseria dell’animo che non del bilancio. Eppure la legge lo prescrive che le facciate e i muri esterni delle case debbano conformarsi a criteri di pubblico decoro, una legge antica come la sapienza e caduta nel dimenticatoio come la buona educazione, il rispetto dell’altro, la lealtà, l’amore per la verità, il coraggio, la solidarietà. L’errore sta in questo ostinato chiudersi in prigioni dorate, contenitori di una bellezza privata fatta anche di marmi e ori ma gelosamente occultati allo sguardo, lasciando che l’esterno delle nostre abitazioni dissimuli una povertà che ci ha abituati a mentire anche a noi stessi. Qui c’è tutto il peso della nostra granitica insensibilità all’altro.
Si deve però anche considerare come è cresciuto questo paese, rapidamente negli ultimi anni e disordinatamente negli ultimi decenni. Che si sia privilegiata la logica dell’interesse personale è evidente di per sé, anche se questo non sempre ha rappresentato un reato o un illecito ma si deve riflettere sugli esiti di questa forma di abuso che seppure non perseguibile (quando lo è, è ben altro il discorso…) ha finito col cancellare l’identità del paese. Né si è fatto in tempo a ragionare su come accogliere questo inarrestabile flusso di spostamenti che dalla città portano a Carini nuovi ingressi alla ricerca di condizioni abitative più economiche, seguendo soltanto questo criterio del risparmio e non quello di una differente filosofia della vita. Così il paese è diventato in buona parte un quartiere della periferia ovest della città, un quartiere dormitorio che non sprona nessun senso di appartenenza. Dovevano i carinesi invece serbare con gelosia la propria identità e adoperarsi perché i nuovi arrivati si adeguassero ad uno stile diverso, lottare perché fosse recepito e mantenuto verso la cittadina della Baronessa un rispetto analogo a quello che nel tempo avevano avuto i suoi abitatori. Un adeguamento in effetti c’è stato, ma verso il peggio, verso gli aspetti deteriori che ad altre latitudini si sarebbero invece spenti.
Così ora è forse troppo tardi, inutile sognare. Riusciranno i carinesi a riprendersi la propria città e il relativo senso di cittadinanza? E non certo delirando di espulsioni o altre forme di esclusione sociale ma rimboccandosi le maniche per restituire a Carini il suo antico splendore? Io continuo a crederci e in questa direzione conduco il lavoro con le giovani generazioni, cercando di inculcare loro il rispetto per il luogo in cui vivono, tentando di far comprendere come siano più gradevoli gli alberi e le piante rispetto ai cumuli di immondizie, come siano più rasserenanti per la nostra quiete le aiuole rispetto alle discariche abusive o agli immondezzai che si creano col ripetuto buttare a terra ciò che potremmo tenere fino all’incontro con un cestino.
Diceva Kant che il bello è il simbolo del bene morale, dunque perseguire il bello intorno a noi non è che esercizio di un’etica interiore. Quando questa c’è…
(da "Carini Oggi" - luglio 2009)
Si è tenuta a Capaci, presso la scuola media “Biagio Siciliano” la manifestazione conclusiva del progetto “Meglio onesti che mafiosi” sostenuto dal Dipartimento Pubblica Istruzione della Regione Sicilia sotto gli auspici della Prefettura di Palermo. Il progetto di promozione della cultura della legalità ha preso le mosse in settembre con l’ invio a tutti gli alunni delle quarte e quinte elementari e delle terze medie, di una lettera individuale firmata dal Prefetto. In quella si precisava il ruolo dell’istruzione e dell’educazione nella lotta alla cultura della mafia che fa da substrato per il fenomeno mafioso in sé. È seguita una campagna di comunicazione che ha visto i poster realizzati con volti di giovanissimi alunni incorniciare gli slogan del progetto: “Meglio onesti che mafiosi”, “Meglio lucidi che alcolizzati”, “Meglio belli che bulli”. Scopo principale dell’iniziativa è stato il tentativo di destrutturare quei modelli culturali devianti che non di rado ammantano di un alone suggestivo, specie per i più piccoli, i protagonisti della delinquenza organizzata. Le scuole hanno quindi condotto in autonomia propri progetti di promozione della cultura della legalità entro l’orizzonte unificante del progetto promosso dalla prefettura e dalla Regione Sicilia. Ne è stata testimonianza il convergere di tutte le scolaresche presso l’aula magna della scuola di Capaci nella giornata del 20 maggio, data scelta per la sua vicinanza alla commemorazione di alcuni tra i più noti martiri della lotta al cancro mafioso, il giudice Falcone e gli altri servitori dello Stato barbaramente assassinati nel tragico 23 maggio del 1992.
Durante la manifestazione sono intervenuti il giudice sostituto procuratore Caterina Bartolozzi della Procura dei Minori di Palermo, la dottoressa Roberta Di Chiaro del Centro Giustizia minorile di Palermo, il capitano dei Carabinieri Comandante Schettino, i ragazzi degli istituti d’arte di Palermo che hanno contribuito al progetto elaborando vignette col compito di ridicolizzare il “mafioso” e il comportamento mafioso. Nell’ambito di questa iniziativa era prevista una selezione finalizzata ad utilizzare una vignetta per la stampa sulle magliette che tutti i ragazzi delle scuole indossavano per la manifestazione. Ad aggiudicarsi l’onore della stampa nonché una targa premio l’alunno Giorgio Rinaldi del liceo artistico “Eustachio Catalano” di Palermo. Anche agli altri alunni autori di bozzetti sono state assegnate targhe premio per la partecipazione e la collaborazione. Presente anche l’assessore alla Pubblica Istruzione dottoressa Maria Rita Picone in rappresentanza del comune di Carini, capofila dell’iniziativa. A coordinare l’intero progetto su tutto il distretto compreso tra Isola delle Femmine, Capaci, Carini, Torretta, Cinisi e Terrasini l’Istituto comprensivo “Laura Lanza” di Carini. Protagonisti sono stati gli alunni delle scuole che hanno avuto modo di mostrarsi reciprocamente i lavori e le iniziative sulla legalità realizzate durante l’anno scolastico sotto la guida dei propri insegnanti.
Per tutti l’appuntamento è al prossimo anno, stante l’impegno delle scuole del territorio a continuare su questa strada di condivisione in una modalità itinerante che candiderà, di anno in anno, ciascuno dei sei paesi coinvolti come sede della manifestazione conclusiva.
(da "Carini Oggi" - giugno 2009)
Un autore poliedrico e famoso per la sua creatività, Bruno Munari, in un suo noto saggio sulla Fantasia (1977) si preoccupava preliminarmente di chiarire le differenze che esistono tra fantasia, invenzione, creatività e immaginazione. Di tutte, è la prima quella in assoluto più libera, tale che può permettersi di «pensare qualunque cosa, anche la più assurda, incredibile, impossibile». Stando a questa prima definizione possiamo concludere che a Carini c’è molta fantasia. Essendo sotto gli occhi di tutti il ripetersi di assurdità incredibili e impossibili. Ne è un esempio esilarante (se non fosse per le seccature inutili che ha procurato soprattutto alle scuole locali) quell’iperbole fantasiosa che ha spacciato per avvenuto (con tanto di resoconto di morti e feriti), un terremoto nelle nostre contrade poche settimane addietro. L’onda sismica non proveniva dal cuore della terra ma dal cuore fantasioso di alcuni ed ha provocato un allarme manifestatosi in scene di teatrale panico che hanno indotto gli stessi “alcuni” (per lo più mamme apprensive oltre misura) a minacciare ripercussioni e conseguenze inaudite in caso di rifiuto di consegna dei figli (non ultimo la profezia di un maremoto per il successivo martedì…). Il tutto per lo scopo, urgente quanto una fuga dal fungo radioattivo, di recarsi in campagna a trovare riparo dall’inevitabile crollo al suolo dell’intero abitato cittadino. Inconsapevoli, le stesse, dei danni che invece in quella medesima giornata il vento forte infliggeva soprattutto in campagna dove non sono mancate situazioni di autentico rischio derivanti dall’abbattimento di alberi e pali, dallo sradicamento di piante e tettoie.
Sempre Munari, per fortuna precisava (ma deve essere sfuggito ai più colti…) che il problema fondamentale della fantasia «è l’aumento della conoscenza». Non proseguiamo oltre rimandando i più curiosi alla lettura del testo citato ma ci serve per notare come sarebbe bastato un po’ di buon senso a evitare inutile aggravio di lavoro, perdita di tempo, sciocco allarmismo e, soprattutto, il fallimento di un’azione educativa tesa a distinguere il gossip dall’informazione.
Analoghe considerazioni si debbono perciò svolgere anche per un altro episodio che sta riguardando un’azione di prevenzione sanitaria che la locale azienda sanitaria sta svolgendo con gli alunni di un asilo. Anche gli incontri con i genitori effettuati a scopo informativo non sono riusciti ad avere ragione di alcuni facinorosi che a dispetto di ogni logica, di ogni buon senso, di ogni conoscenza scientifica, di ogni protocollo sanitario, etc., continuano a cercare colpevoli, minacciare ritorsioni, aggredire verbalmente quanti si adoperano alacremente per condurre le attività previste e quanti si sono spesi e si stanno spendendo per far sì che tutto si svolga entro un clima di trasparenza e fiducia. Va anche detto che nel nostro paese non tutto va male, vi sono anche le cose che funzionano e bene per giunta. In questo caso ciò che ha funzionato egregiamente è stata la connessione tra sanità e scuola, connessione capace di mettersi in moto rapidamente e in totale collaborazione. Sparare addosso a un immaginario colpevole è esattamente ciò che secoli addietro si chiamava “caccia alle streghe”, spereremmo di esserci allontanati da quelle forme medievali di oscurantismo e sonno della ragione. Per fortuna è un fatto che la prevenzione di cui si dice si sta svolgendo in un clima di serena collaborazione tra sanità, scuola e famiglie. È considerazione ovvia che nei grandi numeri si registrano sempre anche eccezioni di ogni tipo, anche quelle di evocazione medievale a cui ci si riferiva. Ma il dato confortante è il senso di fiducia e solidarietà con cui proprio la maggioranza degli altri genitori ha isolato le eccezioni facendo quadrato con chi, senza chiacchiere, sta lavorando per loro. Questo ci dà la forza di insistere nella strada a suo tempo intrapresa.
(da "Carini Oggi" - giugno 2009)
Nel precedente numero un articolo a firma Pasquale Mannino dedicava a chi scrive un’intera pagina. Le critiche avanzate erano però paradossalmente vanificate, almeno in parte, dalla presenza di un nostro articolo quattro pagine più avanti. Altre, insieme ad alcune parole di lode nei nostri riguardi, erano invece, ahimè, viziate dalla mancanza di una adeguata conoscenza e informazione. A beneficio di questa esigenza che dovrebbe esser imprescindibile per ogni operatore scolastico, evitando polemiche dirette che annoierebbero i lettori, proseguiamo nella strada del fare che così poca dimestichezza annovera alle nostre latitudini, tanto amanti del dire che non conferisce responsabilità…
Con fatica e impegno personali stiamo portando avanti un progetto PON che presso la nostra scuola, la “Laura Lanza”, è stato dedicato ad un’azione di incubatore di impresa. Abbiamo pubblicato un bando al quale hanno aderito mamme di nostri alunni, soprattutto provenienti da nuclei familiari con disagio economico. Il laboratorio per i genitori, infatti, è inserito in quelle misure di corredo che la progettualità europea prevede, consapevole degli effetti collaterali positivi che è possibile innescare. Scopo del nostro progetto è addestrare le mamme all’esercizio di un mestiere accessibile rispetto alle competenze possedute, allargando l’intervento anche a quelle necessarie conoscenze del diritto e della legislazione che collocano un lavoratore con consapevolezza nel panorama sociale. Il laboratorio così si compone di due corsi, uno teorico con un docente di diritto ed uno pratico in forma di stage (già concluso con grande successo e gradimento) presso un’azienda tessile di Palermo.
L’esito positivo del laboratorio è frutto della collaborazione di tutti coloro che vi hanno preso parte, comprese le “alunne” che con motivazione e impegno stanno ancora frequentando il modulo teorico. Altro esito positivo del laboratorio, non previsto inizialmente e nato dall’efficacia delle azioni fin qui condotte, è la realizzazione di un ulteriore stage che vedrà impegnate la metà delle corsiste per altri sei giorni al fine di sperimentare la dimensione lavorativa in un assetto realistico.
È esattamente questo che intendo quando ripeto ai miei alunni e a tutti quelli con cui lavoro, la famosa frase: lo Stato siamo noi. Ciascuno intanto faccia il proprio dovere e la smetta di lagnarsi di uno Stato astratto sempre colpevole di tutto. A Cesare quel che è di Cesare: quando la responsabilità è delle istituzioni non esitiamo, io per primo, a richiamare le rispettive mancanze, come dimostrano i fatti, le lettere scritte, le procedure di verifica da me avviati. Quando accusare il Comune, la Regione, lo Stato, l’Unione europea, l’Onu, la FAO, la Croce Rossa, Gargamella, etc. significa chiamarsi fuori in modo auto referenziale dalle colpe e dalle responsabilità a cui tutti noi giorno dopo giorno, con le nostre assenze, le nostre mancanze, le nostre insufficienze diamo vita, allora questo è frode e vigliaccheria. Senza pausa pasquale, sporcandoci le mani, talvolta commettendo errori ma sempre consapevoli di dovere ricominciare, noi preferiamo lavorare per rendere migliore il mondo in cui viviamo.
(da "Carini Oggi" - maggio 2009)
La zona PEP è a Carini un luogo di potenzialità ancora inespresse. Pesano sul suo futuro immediato e di medio termine le ipoteche derivanti da una lunga storia di espropri, restituzioni, burocrazia, colpe, responsabilità eccetera. Allo stato attuale, tuttavia, preme la speranza dei residenti che non vedono l’ora vi venga costruita la caserma dei carabinieri e che si decidano definitivamente le assegnazioni delle altre aree libere, magari conservando un po’ di spazio attrezzato a verde e a luogo di incontro e socializzazione, di cui il quartiere avrebbe grande bisogno.
Tra le possibili soluzioni ve ne sono di innovative che si potrebbero perseguire. Già da tempo, infatti, l’ amministrazione comunale si è mostrata interessata a una proposta di allargamento dell’area di pertinenza del plesso elementare della scuola “Laura Lanza” che confina appunto con un appezzamento in parte ripetutamente ricoperto di immondizia e in parte coltivato a orto. Si potrebbero cioè conciliare esigenze complementari, dando vita a forme di condominio che darebbero a ciascuno un vantaggio. La scuola potrebbe godere di un’area per attività di laboratorio ecologico, attrezzando una porzione del terreno a giardino didattico mentre un privato vi potrebbe condurre tranquillamente un’attività di coltivazione. Ci sarebbe così quell’offerta di disponibilità che gli adulti dovrebbero sempre avere per i bambini per dare continuità a una comunità: gli alunni imparerebbero i rudimenti di una sana agricoltura, i coltivatori aiuterebbero a tenere ordinati gli spazi verdi della scuola, tutti troverebbero un modo costruttivo per stare assieme, facendo scuola in modo informale. Se solo si uscisse dalla logica conflittuale del “tutto è mio” che porta ad alzare odiosi muri di cemento e terribili muri di incomprensione e sordità, si otterrebbero infiniti vantaggi nella convivenza civile.
Un altro intervento, almeno temporaneamente possibile, potrebbe per esempio far partire subito la sistemazione dell’area progettata a spazio per il mercato. Invece di attendere, lasciando che lì si accumulino immondizie e sporcizia, vi si potrebbe collocare un mercato del contadino che vedesse convergere i produttori locali per una vendita a costi concorrenziali – perché senza mediazione – di frutta e verdura fresche. Anche qui con vantaggio per tutti i residenti che invece di una scarpata piena di sterpaglie e rifiuti godrebbero di un luogo divenuto improvvisamente di incontro, scambio, commercio e socializzazione. Un’area viva, insomma, e non morta come tutto ciò che resta abbandonato o in eterna attesa di una nuova destinazione che giunge sempre dopo troppi decenni. Volere è potere…
(da "Carini Oggi" - maggio 2009)
Si dice che la scuola è il centro della società. Si dice, appunto. Nel senso che dopo averlo detto pochi se ne ricordano o, se si ricorda, comunque non seguono i fatti. La scuola però non deve restare soltanto un problema o un soggetto che chiede soldi e aiuto. La scuola, quella moderna caratterizzata dall’autonomia e dalla attenzione a progetti formativi ben calati nella realtà socio-culturale del territorio su cui operano, vuole partecipare alla programmazione dello stesso volto della città. Le scuole divengono perciò interlocutori importanti in tutti quei processi di adattamento o modifica che riguardano le città, i quartieri. Ancor di più quando operano su territori ancora in via di definizione della propria identità. L’ampia area del cosiddetto quartiere PEP è perciò un esempio privilegiato di questa positiva e auspicabile collaborazione. E vi sono esempi pratici a sostenerne l’esigenza. I residenti dell’area sanno quanto sia problematica la vita serale e notturna quando la scuola chiude i battenti e sciamano i gruppi di giovani e meno giovani alla ricerca di luoghi un po’ appartati. Il lettore saprà immaginare come si traduca da noi questa esigenza di luoghi appartati, capirà da sé se deve immaginare poeti in cerca di un angolo silenzioso, pittori in esplorazione di nuovi e inattesi scorci paesaggistici oppure squadriglie di motorini in cerca di piste da impennata e strombazzi, coppiette di amori focosi e pescatori urbani che alle lenze preferiscono le canne. A chi fosse nel dubbio potrei mostrare le tracce che facilmente si rinvengono nella strada a vicolo cieco che separa i due plessi della scuola “Laura Lanza”. Sì, perché un’ansia ”espositiva” lascia in loco non quadri ma condom, non poesie ma filtrini.
La domanda è: cui prodest? A chi giova? (non si dimentichi Medea… e l’intero senso: cui prodest scelus, is fecit, ovvero “colui cui il crimine reca vantaggio, proprio lui l’ha compiuto”). Ci è stato spiegato che il vicolo cieco non porterà mai da nessuna parte, ritardi e modifiche non hanno fatto incontrare le esigenze di un riordino urbanistico - che ne voleva fare un’arteria di collegamento (giusto in mezzo a due plessi che devono di continuo far passare alunni e insegnanti. Sic!) - e interessi comprensibili di mantenimento della proprietà. In ogni caso è una prova del mancato coinvolgimento della scuola nella programmazione dello sviluppo dell’area. Ma siamo in tempo. Una cancellata basterebbe per fare acquisire alla scuola un’area da destinare a parcheggio per i docenti e al transito delle auto dei molti genitori che per esigenze di salute dei figli chiedono il permesso di entrare nella pertinenza scolastica, evitando la confusione che inevitabilmente si crea all’orario di ingresso e uscita. Si impedirebbe contestualmente che in quel vicolo cieco venissero a incontrarsi i poeti e i pittori di cui si diceva prima, con notevole vantaggio, in questo specifico caso…, della cultura di civiltà del quartiere e con buona soddisfazione di tutti quei residenti che chiedono più controlli, più serenità e più qualità della vita.
(da "Carini Oggi" - maggio 2009)
Palme come segnale di un orizzonte che introduce in un mondo esotico, ricco di echi e memorie del passato glorioso e perduto, colmo di suggestioni sensuali e raffinate, incorniciato di opere d’arte e bellezze scultoree, architettoniche, paesaggistiche. Questa la costante associazione tra la Sicilia, i suoi luoghi di incanto e magia, con gli alti fusti delle belle palme da dattero. Oggi trascinate nel fango del macero sotto il flagello di un’epidemia che il vento di una colpevole ingenuità ha portato nella nostra terra sulle ali di un grazioso coleottero d’inferno: il punteruolo rosso, novello barone volante e campione di altri tragici decessi.
In fondo si aspettava. V’è nella memoria biblica e nostrana ampio ventaglio di esempi di pestilenze e mali epidemici scagliati in punizione. Visione terrifica ma salvifica che ad una colpa contrappone una giusta punizione. E forse aiuterebbe tornare a leggere in questi termini persino questo flagello del duemila evoluto, assurdamente importato senza che le attenzioni prodotte dalla scienza abbiano saputo arginare, impedire, prevenire. Sebbene qui la colpa dovrà probabilmente darsi alla solita ignoranza che rende tutto legittimo, scusabile, redento de iure.
La morte delle belle palme di Sicilia: che altro leggerci se non un simbolo dell’agonia di quest’isola le cui bellezze stanno sepolte tra le ingorde immondizie che ogni brulicante abitante accumula con tenacia irresponsabile? Qualcuno stupirà, attonito di tanta enormità: come? La colpa ai cittadini piuttosto che al solito elefante comunale- regionale-statale? La colpa alle vittime dello sfacelo pubblico mai sazio di scandali e privilegi? Tutto intorno a noi crolla, lentamente, dandoci il tempo di scambiare le rovine per un paesaggio naturale. Soccorre il vento che di tanto in tanto sferza questi luoghi solitamente quieti e solleva tutto ciò che al nostro occhio appare ormai consustanziale all’urbe, l’immondizia dentro cui viviamo come in un’alcova di putrido conforto.
La città (grande o piccola) che è divenuta maleodorante, rumorosa, terra di conquista di ogni ambulante che tale si improvvisi, discarica continua dei nostri fetidi scarti, è resa un ventre incancrenito che scoppia sotto l’urgenza dei gas mortiferi che la gonfiano e la uccidono. Nulla dura più di qualche giorno, fiori, villette, giardini, panchine, statue ripulite, ringhiere restaurate, marciapiedi rifatti. Un imponente, smisurato esercito di piccoli e grandi vandali, vili ed anonimi, che giorno dopo giorno sbrana, corrode, sventra, perfora, deturpa, ammorba, il labirintico dedalo di strade e viuzze che senza disegno e progetto è stato lasciato come un alibi dall’infernale abuso edilizio e urbanistico che ha disegnato il mostruoso volto delle nostre città negli ultimi quarant’anni. Ogni capanna, ogni lamiera innalzata a tetto viene lasciata per decenni in attesa che “altri” si occupino del ripristino delle regole che nessuno rispetta e meno di nessuno vuole. Mai un’esigenza di pubblica utilità che metta ordine, ridisegni, rada al suolo, ricostruisca, sostituisca. Recentemente, ad esempio, solo quel piccolo e splendido spicchio del capoluogo non a caso alle spalle del tribunale, nei cui pressi pare di respirare un’aria di quell’Europa civile su cui tanti, solo a parole, si spendono coi bla bla elettorali e a cui appartenevamo prima che esistesse un’Europa, quando Palermo pareva una piccola Parigi… che stratosferica distanza ormai ci separa per sempre come un abisso incompiuto.
Le palme che cadono, una ad una, come un dòmino ferale. Segno del destino che abbiamo colpevolmente lasciato che ci sovrastasse. Dovremmo cantare con Franco Battiato: E me ne andrò / dalla città / nell’attesa del risveglio. Oppure, mutando comportamento, innestando nuova linfa alle recenti vittorie contro il male assoluto che qui chiamiamo mafia, virando cioè dalla vigliaccheria diffusa al coraggio di un tempo, dall’anonimato al senso di responsabilità, dal timore al rispetto, oppure, dicevo, dovremmo adoperarci perché la morte delle palme sia segno di una rinascita possibile e mai come oggi a portata di mano?
(da "Carini Oggi" - aprile 2009)
Che il futuro sia rappresentato dai giovani non vi può essere dubbio ma che tale futuro possa essere migliore, beh, il dubbio c’è e come. Fosse diversamente non saremmo al punto in cui ci troviamo. Tutti noi, infatti, siamo stati giovani e se fosse bastata l’equazione: giovani = futuro migliore, non staremmo neanche a scrivere questo articolo. Evidentemente le cose non sono così semplici perché ciò di cui discutiamo ci riguarda tutti contemporaneamente. Chi non è giovane ha perciò il dovere di sacrificarsi in prima persona senza attendere che chi è più giovane risolva i problemi lasciati in eredità dai più anziani. Che invece il nostro Paese proceda da tempo sulla strada dello scarica barile – “tanto ci penserà chi verrà dopo” – è sotto gli occhi di tutti.
Ancora: il futuro si prepara a scuola, il solo luogo che nella nostra società è stato deputato in modo formale a educare i nostri ragazzi a diventare i cittadini di domani. Una volta questo compito educativo era affidato anche alle famiglie e a tutta quanta la comunità degli adulti che a vario titolo e in diversa misura entravano in contatto con i ragazzi. Oggi quale adulto rischia più di riprendere un giovane che si comporti da cafone? Ciascuno ritenendo così di evitare guai. Questo ritirarsi da tutto ciò che non costituisce il nostro dovere preciso (ma anche su questo ci sarebbe molto da dire) senza mai volgere l’ attenzione a ciò che ci sta intorno e che talvolta richiede il nostro intervento, ha creato spazio per chiunque voglia fare la propria palestra di prepotente e maleducato. A poco a poco la cosiddetta e auto referenziata “parte buona” della società si è ritirata in spazi sempre più angusti e ristretti, tanto da vivere praticamente relegata nelle case che tuttavia, spesso, non rappresentano più neanche un rifugio sicuro, stando ai dati relativi alle rapine e ai furti in casa. Complice un sistema giudiziario che consente troppo facilmente di negare ogni responsabilità o quanto meno di pagare raramente e in modo insufficiente per le proprie colpe. Sfiducia, disillusione, pessimismo si sono così impadroniti di noi che sempre più siamo diventati sospettosi, aggressivi, malfidati e malpensanti. Uno stile di vita, insomma, ma da morenti.
Per uscire da questo autentico cul -de-sac, non c’è che una strada ed è quella dello spirito di comunità, uno spirito che un tempo contraddistingueva i piccoli paesi ma che oggi sembra perduto. Lo vediamo nelle relazioni più comuni. Chi scrive sa con quanta difficoltà si tenta di diffondere il rispetto delle regole come garanzia per una civile convivenza ma è una lotta impari che giornalmente, per esempio, impegna tutto il personale della scuola. Potremmo citare mille episodi a testimonianza di ciò, valga per tutti l’ultimo e recente tentativo di alcuni genitori di forzare con la macchina il cancello dell’asilo per contestare contro il divieto di ingresso per le auto (divieto valido persino per il personale scolastico), in ragione di un malinteso “diritto” a portare il figlio in macchina fin dentro l’aula e all’orario più comodo, ignorando le esigenze di tutti gli altri bambini come del personale. Vale la pena commentare un fatto così assurdo e incivile?
Nessun giovane, ricevendo simili esempi dagli adulti a lui più vicini, potrà mai rendere migliore la società. Vale la pena a questo punto tornare a riflettere sulla famosa frase: “lo Stato siamo noi” che non è una semplice astrazione scolastica. Lo Stato è per davvero formato da tutti noi e a noi ha demandato una funzione fondamentale per un paese civile: il controllo preventivo. Ogni volta che ci lamentiamo che lo Stato è assente, solitamente stiamo coprendo una nostra diretta responsabilità, mancanza, viltà. Lo Stato non può essere fisicamente presente ovunque si commetta un illecito, altrimenti avremmo metà poliziotti e metà cittadini controllati. Per questa funzione i delegati dello Stato siamo noi, noi che dovremmo sapere distinguere il bene dal male e insieme cooperare per arginare il male. Ciò che normalmente avviene è invece l’esatto contrario, ci si allea per compiere il male o, al più, se non ci tocca direttamente lasciamo che le conseguenze del male che vediamo intorno a noi se le piangano gli altri più sfortunati. Ciascuno sperando di non essere mai vittima. Con la tendenza a cui assistiamo, però, è evidente che prima o poi ciascuno sarà vittima. Quando le cose diventano gravi è giusto attendersi una presenza dello Stato più adeguata e per quello ci sono le forze dell’ordine, capaci anche della repressione se si rende necessaria. Ma per tutto ciò che rappresenta il vivere quotidiano è il senso di comunità che deve costituire la forza con cui la parte buona della società difende se stessa dallo strapotere della parte deviante. Da questa forza soltanto può nascere persino la giusta strategia per ricondurre al bene coloro che per disgrazia o disperazione se ne allontanano.
Bisogna crederci e saper stare assieme, ciascun facendo un piccolo passo indietro per andare incontro all’altro. Solo così insegneremo ai nostri figli come rendere il futuro migliore. Senza questo sacrificio personale ci attende, con le parole di un illustre autore nostrano, la vergogna: «[…] avrei voluto un padre più coraggioso, impegnato di persona in quelle battaglie politiche dalle quali sarebbe dipesa anche la mia vita. […] lui, porcollìo, non metteva lingua, non si impicciava, ché aveva paura di perderci il pane. Però me ne parlava, eccome se ne parlava! E metteva risentimento e odio nel mio cuore. Odio che mi ritrovo dentro e che rode tuttora. […] avrebbe potuto partecipare a quelle lotte, dare il suo modesto contributo per la soluzione di quei problemi. Non lo fece perché… era un gran vigliacco» (Stefano Vilardo, Una sorta di violenza).
(da "Carini Oggi" - marzo 2009)
Il 16 gennaio, a Bruxelles, si è tenuto il tradizionale Infoday sul Programma di Apprendimento permanente, evento organizzato dall’Agenzia Esecutiva EACEA, per presentare le azioni centralizzate del Programma di Apprendimento Permanente. Un appuntamento, in sostanza, di presentazione delle misure di sostegno che con diverso taglio si preoccupano di organizzare forme di apprendimento per tutti, dai bambini agli adulti, nella prospettiva positiva del Lifelong Learning, ovvero secondo l’idea che non si finisce mai di imparare per cui è meglio continuare a farlo periodicamente, possibilmente insieme.
Interlocutori primi di questa gigantesca macchina di risorse finanziarie, strumentali e umane, sono enti e organizzazioni che per statuto si occupano di istruzione, formazione, servizi civili e di solidarietà sociale, pubblici e privati. A partire da quest’anno, inoltre, una nuova azione permette anche agli enti locali di farsi promotori di iniziative progettuali da condurre, come ogni progetto europeo, in partenariato con interlocutori provenienti necessariamente da altri paesi dell’UE.
Anche quest’anno, come il precedente, la scuola carinese era ben rappresentata a Bruxelles grazie alla presenza dei dirigenti degli istituti comprensivi “Guttuso” e “Laura Lanza” che, già dal 2007, hanno dato vita ad un network denominato SEICK (Sicilian Euronetwork to Increase Cooperation and Knowledge) che ha avuto il sostegno dell’Amministrazione comunale. La scuola di Villagrazia è la sede ufficiale di questa rete progettuale e ad essa si rivolgono i referenti di altre scuole della provincia - qualcuna persino delle aree catanese e nissena - per formare il proprio personale e per avere un controllo di merito sulle candidature che le scuole presentano per la richiesta di finanziamento. La scuola “Laura Lanza” fornisce un’azione di supporto progettuale così che Carini si trova in una invidiabile posizione di sensibilità alle tematiche europee tale da avere destato l’attenzione e l’interesse della nostra Agenzia nazionale per i progetti europei. Non è infatti un caso che un rappresentante dell’Amministrazione comunale abbia guidato questa piccola rappresentanza al fine di esplorare le opportunità che si stanno per aprire in favore di una autonoma progettualità degli enti locali, fino ad oggi relegati al ruolo di compartecipi o di semplici sostenitori di iniziative altrui.
Va ricordato che tutte le scuole carinesi sono in varia misuracoinvolte in progetti e iniziative che, al di là della tematica affrontata, permettono scambi tra persone di diverse culture con reciproco vantaggio sia in termini di competenza linguistica sia in termini di apertura mentale e abitudine all’altro. La progettualità che l’UE consente alle scuole stimola la crescita dei giovani come del personale adulto impegnato, spingendo tutti ad una migliore conoscenza delle lingue ufficiali della comunità come ad una maggiore sensibilità relazionale con incremento della tolleranza, della motivazione allo studio, dello spirito di collaborazione e di altre attitudini che tutti dovremmo possedere in buona misura per migliorare la qualità della nostra vita quotidiana.
Non va infine dimenticato che la presenza a Carini di giovani e adulti provenienti da altri paesi dell’Unione (l’ultima in ordine cronologico è stata la visita presso l’istituto “Laura Lanza” di dodici insegnanti della Romania, Bulgaria e Francia per un progetto comenius avviato proprio con il SEICK) contribuisce anche a diffondere la conoscenza di questo territorio con possibili ricadute sul piano del turismo.
(da "Carini Oggi" - febbraio 2009)
Alla luce delle ultime novità che riguardano tutte le scuole, le iscrizioni si possono fare fino al 28 febbraio. Novità vi sono anche per l’istituto “Laura Lanza” che ha scelto per il prossimo anno la settimana corta, con il sabato libero e l’orario scolastico dalle 8.00 alle 14.00.
Alla scuola materna possono iscriversi i bambini che compiranno i tre anni entro e non oltre il 30 aprile 2010 ma tra i criteri vige la data di nascita per la priorità. Si precisa che si tratta di un servizio non obbligatorio per cui rinnoviamo l’invito a non considerare l’asilo pubblico un posto da usare ma un servizio dove si rispettano gli orari di ingresso e uscita. Si sottolinea che la doppia iscrizione fa scivolare l’alunno all’ultimo posto della lista di attesa.
Alla scuola primaria o elementare, è obbligatorio iscrivere i bambini che abbiano compiuto i sei anni entro il 31 dicembre 2009. È facoltativa l’iscrizione dei bambini che i sei anni li compiranno entro il 30 aprile 2010. Attenzione alle proposte di orario che da quest’anno, esclusivamente per le prime elementari, sono ben quattro. Le classi di nuova costituzione, infatti, potranno funzionare con un calendario settimanale rispettivamente di 24, 27, fino a 30 (cioè 27 più le ore opzionali), 40 ore (cioè tempo pieno). La scelta compete al genitore che la indica espressamente sulla domanda di iscrizione. Presso la nostra scuola non sarà possibile scegliere le 40 ore (tempo prolungato) perché assente la sala mensa. Le altre classi, dalla seconda in avanti, resteranno col monte ore già tenuto quest’anno, quindi non subiranno variazioni. Si osserva che l’adozione della settimana corta garantirà a coloro che sceglieranno le 24 ore, un numero di ore giornaliere quasi uguale (5 ore dal lunedì al giovedì e 4 al venerdì) rispetto al passato.
Per la scuola secondaria di primo grado o media, presso la “Laura Lanza” non vi sono le condizioni per il tempo prolungato. Un residuo relativo ad un’ultima classe con modello a 33 ore, non gradito agli studenti, si estingue quest’anno.
La nostra offerta formativa prevede sezioni orientate. Si tratta di un curricolo di orientamento che mette gli alunni in confidenza per tutto il triennio con ambiti disciplinari specifici, preparandoli in modo più mirato per la scelta della scuola superiore. Oggi la scelta del corso successivo è affidato ad una fiera di proposte concentrate nel mese di dicembre dell’ultimo anno, la nostra progettualità prevede invece che gli alunni di ciascun corso svolgano attività extracurricolari, laboratoriali e persino gite e viaggi di istruzione orientate a seconda della sezione. Vediamole: sezione Socrate-Pitagora per l’indirizzo classico e scientifico (con laboratori di latino, greco e teatro antico); sezione Munari per l’indirizzo artistico (con laboratori di musica, arti figurative ed escursioni a Palermo); sezione Grand Tour per l’indirizzo linguistico e turistico (con laboratori di tedesco, francese e spagnolo); sezione Cardano per l’indirizzo tecnico (con stage presso aziende produttive); sezione Florio per l’indirizzo professionale (con stage presso strutture ricettive). Le attività di base restano uguali per tutti, così da garantire la medesima preparazione ma viene favorito il successo formativo grazie ad una maggiore aderenza del profilo curricolare alle rispettive abilità dell’alunno. A tale scopo, alla Laura Lanza gli alunni di quinta elementare compilano (entro giugno) un questionario attitudinale che, unito alle scelte operate dalle famiglie, aiuta i nostri docenti e la nostra équipe di psicologi a collocare i ragazzi nelle classi, riducendo al minimo gli spostamenti (i quali sono garantiti, oltretutto, dall’adozione dellibro di testo unico). Ovviamente le classi interne e con elevata uniformità di rendimento hanno una elevata probabilità di restare in una configurazione molto simile.
Il modello orario per la scuola media resta a 30 ore ma viene sancito che una di queste debba obbligatoriamente essere destinata ad “approfondimento di italiano”. Per i nuovi iscritti, inoltre, i genitori possono optare per un insegnamento di inglese potenziato a 5 ore settimanali. In questo caso gli alunni non studieranno la seconda lingua comunitaria e la loro scelta avrà valore per l’intero triennio di scuola media. Va però precisato che le scuole potranno accogliere questa richiesta subordinatamente all’obbligo di mantenere le cattedre di lingua esistenti, quindi si prevede che solo limitatamente potranno essere soddisfatte le eventuali scelte in tal senso. La nostra attenzione verso la lingua inglese è massima: si organizzano corsi anche per i genitori degli alunni ed è previsto che persino durante la ricreazione, che avviene con libertà di movimento nell’atrio esterno, il servizio di ristorazione sia svolto in lingua inglese.
Tra i servizi della “Laura Lanza” va ricordata la presenza, già dal precedente anno, di due équipe di psicologi per un totale di sette operatori che coprono un servizio di counseling per tutti i giorni della settimana. Si seguono i casi particolari, ivi comprese le famiglie e si cura la relazione col consultorio della ASL. Gli psicologi collaborano alle attività di inter-relazione interna alle classi, alla elaborazione di test e questionari, alla formazione delle classi e ad ogni altro aspetto della vita scolastica che richieda particolare competenza psicologica.
Tra i nostri servizi specifici non va dimenticata la valutazione centralizzata di istituto. In aggiunta alla valutazione dei docenti di classe, gli alunni rispondono a questionari su competenze di base in italiano, matematica e inglese elaborati dal gruppo di ricerca e innovazione metodologica. I risultati, testati e resi pubblici con grafici facilmente comprensibili, orientano le azioni di recupero e potenziamento che tuttavia vengono avviate fin da ottobre in misura preventiva per evitare l’accumulo di ritardo cognitivo. La valutazione centralizzata addestra gli alunni al superamento delle prove INVALSI.
I laboratori presenti a scuola o in via di realizzazione annoverano: 2 aule multimediali, 1 laboratorio artistico, 1 laboratorio musicale, 1 laboratorio di psicomotricità, 1 laboratorio scientifico, 1 auditorium interno, 1 auditorium esterno, 2 palestre, 2 stanze degli psicologi, 1 biblioteca e sala video e 1 laboratorio ecologico. La recente messa in sicurezza della palestra centrale, infine, rende ora possibile l’incremento della dotazione sportiva. Tra le attività stabili, infine, ricordiamo: il coro, le squadre di calcio e pallavolo.
(da "Carini Oggi" - febbraio 2009)
È un refrain più che noto quello che avverte che il pericolo è sempre in agguato. Purtroppo non sempre è facile accorgersene ma non è il nostro caso perché il pericolo che vogliamo segnalare ai lettori e ai responsabili, privati anzitutto, è talmente grande da non potere sfuggire neanche ad un occhio distratto. Il luogo è in fondo alla via Antonio Prano, ancora una volta nelle immediate vicinanze di una scuola, per la precisione l’istituto “Laura Lanza”. Non stupirà dato che si tratta di un quartiere dove si scontrano volontà nuova di programmazione e situazioni vecchie di degrado, abbandono e incuria.
Per qualche motivo che non conosco direttamente ma che l’età e l’esperienza mi fanno agilmente intuire, proprio di fronte all’ingresso principale della scuola, lì dove si dovrebbe ammirare uno scorcio di arredo urbano gradevole e ordinato (giusto per condurre positivamente gli alunni a entrare nel luogo deputato all’educazione del vivere civile), si trova invece un’ampia curva di asfalto perennemente insozzato di sudiciume nostrano DOC ed un palazzo in costruzione i cui lavori sono fermi da chissà quanto tempo e destinato a restare in queste condizioni chissà per quanto altro tempo ancora.
L’area del cantiere è delimitata da uno di quegli “alibi” che aiutano gli adulti “civili” a deresponsabilizzarsi di ogni colpa, ovvero spalliere di ondulina che salvano forse da qualche conseguenza giudiziaria ma in realtà non impediscono che avvengano infortuni né che il senso di colpa ci avveleni se si arriva al fatale “troppo tardi”. In questi casi i più esposti sono proprio i ragazzi più piccoli che la curiosità spinge a entrare nell’area malamente delimitata per trovare spunti di gioco che le nostre città hanno ucciso e sepolto di bitume e cemento. Non è raro che qualcuno, anche abbastanza piccolo di età, venga visto avventurarsi fra scale e balconi senza parapetto da chi abita nella zona o dal personale della scuola. È ovvio che al di là delle competenze spettanti secondo legge, qui c’è da impedire che si verifichi una tragedia ed evitare di trovarsi nella solita condizione di dover piangere qualcuno rendendosi conto che un’azione preventiva avrebbe salvato da un danno irreparabile. Può un cantiere restare in queste condizioni e, per giunta, giusto davanti a una scuola come una fraudolenta tentazione?
Intendiamoci, i bambini e i ragazzi capiscono da soli che è pericoloso avventurarsi in un cantiere abbandonato e infatti la stragrande maggioranza non ci va. Chiediamoci però: chi sarà mai l’eccezione a questa regola? Non è difficile ipotizzare che saranno quei bambini ai quali manca un adeguato controllo genitoriale, saranno quei poveri e sfortunati cuccioli a cui è capitato di nascere in un luogo e in un tempo sbagliati, bambini che pagheranno la loro comprensibile vivacità solo quando e se la sfortuna li condurrà verso una situazione che sfuggirà al loro controllo precocemente abile. Chi sa di essere più fortunato, chi sa di avere figli che non corrono questi rischi non faccia finta di niente, chi si sente sicuro del proprio piccolo nido familiare dia voce a questa preghiera di intervento che sa di essere fatalmente diretta a chi avendo minore protezione familiare dovrebbe poter contare su un sostegno sociale. Altrimenti buttiamo via dal nostro vocabolario la parola “civile”. In fondo, se ci pensiamo con onestà, per il modo in cui viviamo nelle nostre città, si tratta di una vanteria inutile.
Chiediamo perciò che i proprietari dello stabile bloccato vengano invitati a rinsaldare la recinzione in modo da impedire fisicamente l’accesso ai bambini più piccoli, quelli a cui basta un angolo sollevato per intrufolarsi con invidiabile ma pericolosa sveltezza. Se non altro, per una volta, avremo tutti la coscienza a posto senza dovere ricorrere alle false espressioni dell’ ipocrisia che ci allontanano dal vero e dal giusto.
(da "Carini Oggi" - febbraio 2009)
La scuola, si sa, è un servizio a disposizione di tutti, almeno qui in Italia. Questo, tuttavia, non significa che chiunque se ne possa servire a suo piacimento e secondo i suoi comodi. Ecco la ragione per cui non è raro che si creino frizioni tra chi governa la scuola e chi ne è utente. Come ogni altro ufficio pubblico, anche la scuola obbedisce a criteri di legge che regolano gli orari di apertura, esercizio e chiusura.
Ricordo che quando ero ragazzo e con i miei fratelli capitava di uscire e rientrare ciascuno a orari leggermente diversi, mio padre si lamentava con noi. “La casa non è una taverna che uno entra quando vuole” ci diceva, sostenendo che quando si è in una piccola comunità, la famiglia, si rispettano regole di civile convivenza. L’ora del pranzo era una di queste.
Altrettanto vale per la scuola che è esempio principale di piccola comunità che dovrebbe sempre potersi dire “civile”. Eppure è elevatissimo e dilagante il numero di coloro che ritengono di potersi recare a scuola quando più gli viene comodo. Intendiamoci, se difficoltà oggettive esistono, le scuole danno e hanno sempre dato ascolto, prestato attenzione, fornito aiuto. Figuriamoci poi per coloro che hanno problemi di orario legati ai turni di fisioterapie e simili. Ma non è di queste situazioni che parlo.
Quando i numeri abbandonano la proporzione delle eccezioni e prendono la fisionomia della massa, allora il sospetto che dietro ci siano scuse, finzioni, ipocrisie e piccoli inganni, è lecito. Come altrimenti spiegare le centinaia di domande presentate lo scorso anno presso la scuola “Laura Lanza” che tra richieste di uscita anticipata ed ingresso posticipato assommavano a circa trecento? Si è dunque tentato di dare autorizzazioni mirate, certificate, rilasciando tesserini personali in tutti i casi il cui riscontro è apparso certo. Non sono mancate le lamentele, le calunnie, le false voci messe in giro con il solo scopo di vendicarsi per non avere ottenuto con l’inganno un privilegio inaccettabile. Potremmo provare a contare, per esempio ogni martedì…, le richieste di mamme ed alunni che ci chiedono di “fare un’eccezione” e sommarle tutte fino alla fine dell’anno. A proposito, secondo voi c’entra niente la presenza del mercato degli ambulanti che proprio il martedì si piazza dietro la scuola? E se il martedì piove, sarà una coincidenza che la richiesta di “eccezioni” cala vertiginosamente?
Ma la scuola, si sa, deve educare anche al rispetto delle regole ecco perché gli istituti scolastici tentano di fare rispettare l’orario di ingresso ammettendo anche dieci minuti di tolleranza ma richiedendo poi la presenza di un genitore per autorizzare l’ingresso a seconda ora dell’alunno. Va infatti ricordato che il continuo andirivieni di alunni ritardatari, di fatto impedisce agli insegnanti della prima ora di svolgere la propria lezione. Si configura in tal modo un’illecita e coatta riduzione del diritto allo studio degli altri alunni, cosa per la quale sarebbero persino ipotizzabili azioni risarcitorie a carico dei ritardatari e dei loro genitori.
In questo panorama di diffusa consuetudine all’ ingresso fuori orario andrebbe anche ricordato che è nell’interesse del genitore stesso che la scuola educhi il ragazzo al rispetto degli orari, nella prospettiva di prepararlo per tempo al mondo del lavoro dove tali pessime abitudini costano il posto di lavoro. Purtroppo accade non di rado che i genitori invece di solidarizzare con la scuola, convergendo sul medesimo obiettivo di educare al meglio i ragazzi, facciano pressione, anche rumorosa e violenta talvolta, affinché le regole non vengano rispettate o addirittura, pur riconoscendone la validità si adoperano perché tali regole però non vengano applicate ai loro figli. Un paradosso le cui conseguenze ricadono direttamente sul futuro dei nostri ragazzi. È solo questione di tempo.
Ricordo, infine, che il rispetto delle regole assicura a ciascuno il proprio spazio di libertà e garantisce i diritti di tutti. Diversamente c’è quella scomoda e caotica convivenza improntata alla prepotenza e alla mancanza di rispetto per gli altri. Rispettare le regole significa migliorare la qualità della vita. Vi pare poco?
(da "carini Oggi" - gennaio 2009)
Un problema
Torno a prendere spunto da qualcosa che è sotto gli occhi di tutti, ovvero la presenza di una raccolta di ferro vecchio nell’area della zona PEP ancora in via di definizione. È cosa evidente a tutti che si tratta di un accumulo che crea rischi ai ragazzi e ai bambini che in quell’area trovano sfogo per i loro giochi pomeridiani ed è intuitivo che tale attività non soggiace ad alcun controllo di legge né di legittimità. Eppure tutto si svolge alla luce del sole. Camion arrivano e scaricano, magari alimentando anche un mercato che forse farebbe capire dove va a finire il rame dei cavi elettrici che persino alla scuola “Laura Lanza” hanno rubato mostrando come ormai le città siano una jungla dove al mattino pseudo-cacciatori si avventurano alla ricerca di qualsiasi cosa che si tramuti in denaro e quindi in oggetti di finto lusso (ché è difficile credere alle ragioni della fame, quella vera dei continenti poveri, infatti, ci lascia tutti indifferenti sebbene gli amati televisori ce ne mostrino la tragedia).
Il ragionamento che normalmente scatta è quello dell’acquiescenza o, dantescamente, dell’ignavia, ovvero quell’accettazione tacita e passiva che si traduce nel far finta di niente, nel non agire, nella vigliaccheria della neutralità che lascia che le cose vadano per i fatti loro tanto “qualcun altro” si prenderà la briga di porre rimedio ma poiché quel “qualcun altro” non esiste, il rimedio non arriva mai, come ben sappiamo per qualsiasi cosa si consideri della vita pubblica italiana (e sarebbe il caso di ricordare che Dante poneva gli ignavi all’inferno prevedendo come punizione che corressero nudi punti da vespe e mosconi inseguendo una bandiera senza insegna mentre il loro sangue misto con le loro lacrime veniva raccolto da vermi!). Dovrebbe far meditare, attività desueta ormai a cui è stata preferita la birra, fraintendendo persino l’invito pubblicitario di Arbore.
Oppure scatta quella episodica ed ipocrita esigenza di legalismo che induce a interventi singolari, tanto nel senso “aritmetico” di una sola volta nella vita quanto in quello sinonimo di “stravagante” in un Paese abituato a un malinteso laissez faire che rende irresponsabili tutti i colpevoli, evitando loro ogni conseguenza o punizione. Il risultato è sempre lo stesso, che le cose restano eternamente uguali a se stesse, senza che mai intervengano e soprattutto perdurino quei cambiamenti di cui questa nostra terra ancora arroccata su posizioni medievali di prepotenza feudale e vigliaccheria vassalla avrebbe bisogno urgente come l’acqua per il disperso nel deserto. Vantarsi a chiacchiere che potremmo valere cento e ostinarsi a fare e raccogliere uno non è né da sfortunati né da incapaci, semplicemente da imbecilli.
Una proposta
La questione che pongo all’attenzione dei lettori è però interessante perché per quanto illegittima, l’attività di raccolta di ferro vecchio possiede pur sempre un lato positivo. Mostra infatti una volontà di fare impresa da parte di qualcuno che sta tentando di tirare a campare. Certo, non si tratterà di manager usciti dalla Bocconi di Milano, ma pur sempre di uomini e forse anche di donne che hanno trovato un settore nel quale potrebbero trovare un sostentamento. Allora la riflessione da fare è se non sia meglio evitare l’alternativa tra il colpevole far finta di niente e l’inutile intervento punitivo di una sola volta e cercare piuttosto una forma di crescita e di educazione che porti reciproco vantaggio. L’amministrazione pubblica, cioè, potrebbe guidare un’azione di convogliamento e di regolarizzazione di tali forme di impresa, cercando di ricondurle entro l’alveo del rispetto della legge di cui non si può fare a meno se si intende vivere in una società civile e non in quella specie di far west incivile e troglodita che è diventata la nostra prigionia del quotidiano a causa dei prepotenti dei furbetti e dei delinquenti, anche per colpa di noi silenziosi e pavidi sottomessi. Penso perciò ad una collaborazione magari con il Consorzio per lo Sviluppo Industriale che qui a Carini ha un centro importante e penso all’avvio di incubatori di impresa che sappiano cogliere le manifestazioni concrete di interesse produttivo che sul territorio pur sempre si mostrano, incanalandole però entro una formazione dalla quale escano imprese legali a tutti gli effetti. Non punire e far chiudere, dunque, ma prendere quel che c’è di buono, lo spirito di impresa, e offrire una formazione mirata per promuovere l’ingresso di tali iniziative entro il solco dell’impresa legalmente riconosciuta che produce reddito stabile.So che esistono molti impedimenti legislativi ma qui occorre decidere se guardare a ciò che non ci permette di cambiare e così restare sempre con gli stessi problemi o guardare a ciò che vorremmo cambiare e trovare il modo di cambiare l’esistente per raggiungere nuovi e migliori risultati. A voi la scelta.
(da "Carini Oggi" - gennaio 2009)
Si deve imparare l'inglese. Non c'è più tempo per farne un problema di merito, se sia giusto o no che una lingua prevalga su tutte le altre. È vero, la lingua è il codice che racchiude l'identità storico-culturale di ogni popolo ma l'inglese che occorre imparare, in effetti, è un linguaggio divenuto universale per diffusione spontanea e non coincide più con il codice prettamente britannico.
Assolta questa condizione si scoprono opportunità nascoste, celate al nostro sguardo ma non assenti. Si scopre persino che vi sono opportunità utili, auspicabili, di cui lamentiamo la mancanza facendo presto a individuare un colpevole che è sempre lo Stato o la sua rappresentazione concreta che è l'istituzione pubblica.
Con questa consapevolezza, appena divenuto dirigente scolastico ho subito cercato le occasioni di confronto con altri Paesi, con altre realtà scolastiche, convinto che non siamo per forza, noi italiani e in particolare noi siciliani, portatori del peggio. Talvolta le cose stanno diversamente. L'Europa è una realtà che per essere concreta ha bisogno della nostra attenzione, tanto nel senso della cura quanto in quello della curiosità. Mette a disposizione programmi di scambio che offrono appunto la possibilità di visitare altri luoghi ed esplorare altri sistemi scolastici.
Nel precedente semestre sono stato perciò in Estonia e in quello presente nella Repubblica Ceca. Si è trattato in entrambi i casi di esperienze formative e interessanti. A Tallin prima e a Tartu poi (le due più grandi e importanti città estoni), il nostro gruppo era formato da operatori (presidi, ispettori, etc.) a vario titolo interessati e coinvolti nel mondo della scuola e provenienti da Germania, Gran Bretagna, Romania, Olanda, Francia, Irlanda, Polonia, Norvegia, Spagna e naturalmente Italia.
A Praga erano rappresentati, oltre al nostro Paese, anche la Gran Bretagna, la Grecia, la Spagna, la Romania, l'Ungheria e qui oltre a presidi e ispettori erano presenti ecologisti specializzati nei programmi di educazione ambientale che collaborano con le scuole talvolta appartenendo direttamente ad esse, talaltra in qualità di esperti di eco-centers.
La scuola “Laura Lanza” e tutto il sistema scolastico carinese sono stati dunque presentati al Direttore generale del Ministero della Pubblica Istruzione in Estonia ed altrettanto è stato possibile fare con la rappresentante dell'Agenzia nazionale Ceca per i progetti europei, emanazione diretta del locale Ministero. Ciò che interessa notare è che Presentare una scuola significa contestualizzarne la realtà socio-economica in cui è inserita e dunque significa fare riferimento ai molti legami di rete che necessariamente esistono con l'Ente locale e gli altri attori sociali. Per tale ragione si è scelto di portare in dono il gagliardetto della città di Carini messo a disposizione dall'Amministrazione comunale.
Dal confronto con gli altri Paesi è certamente emersa la situazione positiva che si può registrare nel nostro territorio. Va infatti riconosciuto all'Amministrazione carinese il merito di avere nel tempo confermato standard di attenzione e partecipazione ai problemi del mondo scolastico che, mi piace ripetere, "rischiano" di farne un'isola felice. Il confronto con il capoluogo dove vige un'analoga guida politica non ha davvero misura, essendo il nostro Comune molto più vicino e attento di quanto accada a Palermo dove i miei colleghi dirigenti lamentano persino la difficoltà di incontrare l'assessore di riferimento.
Ho avuto modo di raccontare del regolamento comunale che snellisce l'iter per la concessione delle somme per la manutenzione nell'ottica dell'autonomia e ho avuto modo di segnalare la presenza costante dell'assessore comunale alla pubblica Istruzione che periodicamente riunisce i dirigenti delle scuole per programmare e monitorare insieme i bisogni e i progetti di sviluppo. Certo,i soldi non bastano mai, se ne vorrebbero sempre di più ed è giusto chiederli e battersi per ottenere ancora maggiore impegno dall'Amministrazione nei riguardi delle scuole, con particolare riguardo alla situazione edilizia. Ma questo non significa ignorare quello che già si fa e che mi ha consentito di assaporare lo sguardo quasi di invidia che i colleghi di altri Paesi mi hanno rivolto dopo la presentazione della nostra realtà scolastica.
Le scuole di Carini sono fucine di idee, di impegno e solidarietà, di quotidiana lotta per la legalità, laboratori in cui si prova davvero, col sudore della fronte, a costruire un mondo migliore, un mondo che tanti altri infrangono con il vandalismo, l'ostruzionismo, l'indifferenza, il pressapochismo, la superficialità, l'indolenza. Questo i nostri ragazzi non lo meritano. E se sapranno parlare l'inglese avranno,più porte che si apriranno loro davanti.
Per questa ragione il tema dominante di questo anno scolastico sarà per la "Laura Lanza" quello della diffusione dell'inglese e coinvolgerà alunni, docenti e genitori in laboratori progettati apposta.
(da "Carini Oggi" - dicembre 2008)
Da un decennio circa giungo a Carini ogni giorno. Come tanti altri provenienti da Palermo e tutti insieme parte di quel grande numero di pendolari che ogni mattina da questo paese o se ne partono o vi arrivano per analoghe ragioni: il lavoro. Tutti insieme, giorno dopo giorno, attraversiamo quella soglia, simbolo di ingresso ed uscita dal territorio di Carini, che è lo svincolo autostradale. E con costanza, giorno dopo giorno, tutti insieme riceviamo uno stesso identico subliminale messaggio di brutto, sporco e caotico. L’area dello svincolo, infatti, è già un mostro di architettura stradale con la sua pretesa di far convergere in pochi metri quadri due corsie autostradali, due strade locali, un’area parcheggio ad arrembaggio davanti a bar ed esercizi commerciali ad uso di residenti con comodo e pendolari con fretta, il tutto col noto senso civico dei meridionali d’ogni latitudine. Inutile dire che arrivando in una così babelica zona, ogni singolo individuo, giorno dopo giorno, ne riceve un impulso psicologicamente negativo che associa al paese di Carini, non a caso più sporco e caotico e in quanto tale anche brutto. Eppure il paese sarebbe di quelli da vanto, ricco di bellezze architettoniche (sovrastate da abusi edilizi), ricco di paesaggi naturali (sopraffatti dall’immondizia), ricco di storia (sepolta dalla dimenticanza).
Questo paese che poteva vantare uno dei golfi più belli della costa occidentale dell’Isola e che se lo è fatto rubare da forme di edilizia che a definirla selvaggia si fa un torto ai sauvages autentici; questo paese che paradossalmente possiede potenzialità infinite per coniugare sviluppo e benessere perché pur ospitando un’area industriale potrebbe investire sul turismo; questo paese che ha solide radici storiche e culturali e che fatalmente si trova presente in quasi tutti i momenti importanti della storia buona e cattiva della Sicilia come dell’Italia; ebbene questo paese ha abbandonato il senso del bello che il castello ancora sembra evocare come un vago ricordo. Con buona pace della Baronessa Laura Lanza le cui lacrime, ormai, sono di compianto per l’assenza di ogni riguardo nei confronti del bello che ai suoi tempi caratterizzava queste contrade. Quando, lo scorso anno, ho volutamente iniziato a Carini la mia avventura di preside, tra le primissime iniziative da me avviate c’è stata l’istituzione di una figura professionale che a scuola si occupasse della “Promozione del senso del bello e del gusto estetico”. Educare i giovani al senso del bello è ormai una priorità, forse ultimo possibile argine contro un’abitudine radicata a vivere in mezzo al disordine, la prepotenza, l’immondizia. Girarsi intorno per verificare. O mentire.
I recenti lavori edilizi avviati nell’area dello svincolo, potrebbero rappresentare un’occasione per dare il via ad un progetto di “Benvenuti a Carini” che ridisegni quella soglia. Segnaletica visibile a terra, circolazione ordinata, sensi di marcia coerenti, area parcheggio rispettata, aiuole e spartitraffico con fiori e piante, cestini per l’immondizia ad ogni angolo ed ecco che l’arrivo a Carini, giorno dopo giorno, indurrebbe tutti coloro che ci passano a pensare che stanno entrando in un luogo bello e pulito, spingerebbe a pensare che pulito e ordinato è un aspetto importante della qualità della vita, soprattutto, accadrebbe senza urlare divieti e punizioni, spingerebbe le persone a decidere se essere partecipi del bello o del brutto.
(da "Carini Oggi" - novembre 2008)
ultimo aggiornamento della pagina: 31/03/2010